Per l’occasione abbiamo fatto un’intervista a Sandro Furieri, presidente dell’associazione GFOSS.it, sviluppatore di SpatiaLite e membro dell’Open Geo Spatial Consortium.
Cosa è GFOSS DAY 2012 – OSMit 2012?
Da sempre il GfossDay è la festa annuale dell’intera community italiana che ruota attorno al software libero ed agli open data in ambito geografico; non è un convegno scientifico, e non è neppure un meeting per hackers.
E’ piuttosto un punto di incontro in cui tutti coloro che sono interessati all’informazione geografica libera si trovano, parlano, si confrontano e si scambiano idee ed esperienze concrete.
OSMit rappresenta il ritrovo annuale della community italiana di Open Street Map; che non è un progetto software visto che si occupa primariamente di produrre dati, ma che proprio per questo rappresenta un tassello decisamente importante.
GfossDay ed OSMit si sono sempre svolti separatamente: quest’anno a Torino proviamo per la prima volta l’esperienza di organizzarli congiuntamente.
Restano due eventi distinti, ciascuno con la propria individualità specifica; ma la vicinanza di tempi e di spazi favorirà sicuramente un dialogo più serrato tra le due communities, che dopo tutto hanno moltissimi punti di contatto e di interesse in comune.
Quali saranno i temi forti di quest’anno e perché è importante esserci?
Quest’anno a Torino saremo ospiti di Regione Piemonte; è una circostanza particolarmente significativa perché questa regione è stata tra le prime in Italia a sposare con decisione la politica degli Open Data, quando ancora non erano diventati un ritornello così popolare e di gran moda come lo sono oggi.
Avremo numerose occasioni di incontro con le pubbliche amministrazioni piemontesi e potremo verificare direttamente cosa ha prodotto concretamente l’esperienza Open Data, specie in ambito geografico.
Ma soprattutto potremo ascoltare dalla viva voce dei diretti protagonisti il racconto delle difficoltà e dei successi che hanno costellato il percorso: immagino che sarà un’occasione di confronto molto concreto, e quindi decisamente istruttivo ed utile.
Il 2012 sembra l’anno del “consolidamento” del mondo GFOSS. Cosa c’è ancora da irrobustire e cosa di nuovo potrebbe uscire nel 2013?
Adagiarsi sugli allori è una politica notoriamente pericolosa; è sicuramente vero che il software libero ormai è un protagonista ben radicato nello scenario, e forse nello specifico GeoSpatial ancor più che in altri settori.
Ma è anche vero che siamo ormai nel pieno di una vero e proprio salto di generazione informatica; molti segnali mostrano chiaramente come l’era del PC si avvia ormai verso l’esaurimento, il futuro vedrà sicuramente la massiccia diffusione di dispositivi di nuova generazione.
Questo significa certamente nuove opportunità, ma sicuramente anche nuove sfide e nuove insidie; almeno per come si va profilando ad oggi il mondo dei Tablets sarà verosimilmente un mondo molto più chiuso di quanto lo sia lo scenario attuale.
La buona notizia è che il mondo della cartografia e delle mappe digitali sta velocemente diventando uno dei punti di forza delle nuove piattaforme, che non a caso integrano direttamente un sensore GPS che consente l’immediata localizzazione.
Le tecnologie GeoSpatial non sono più destinate ad una piccola nicchia di specialisti; ormai stanno diventando un elemento consueto del mercato mass consumer.
Questa è la sfida che siamo chiamati ad affrontare nei prossimi anni; riuscire a mettere le nostre competenze specifiche a servizio di scenari ed ambienti completamente nuovi e sostanzialmente inesplorati, cercando di contrastare il disegno di chi sta invece cercando di mettere a punto piattaforme rigidamente chiuse ed integralmente basate su una filiera totalmente e strettamente controllata dalle aziende produttrici.
Ovviamente questo vale anche e soprattutto per le cartografie e le mappe, che rischiano di diventare facile terreno di conquista per un pugno ristrettissimo di soggetti dominanti.
Qual è il profilo tipo di coloro che assistono ai GFOSS Day? E’ cambiato negli anni?
Il GfossDay si è sempre voluto connotare come una fiera variopinta dove si incontrano e si confrontano le esperienze più disparate. Al GfossDay ricercatori e docenti universitari si confrontano su un piede di assoluta parità con funzionari della pubblica amministrazione, tecnici, sviluppatori, professionisti e studenti.
La presentazione di tecnologie emergenti in assoluta anteprima mondiale marcia di pari passo con la presentazione di caso d’uso concreti che riguardano a volte comuni anche di piccolissime dimensioni.
Esiste naturalmente una platea di frequentatori abituali che partecipa regolarmente tutti gli anni, ma una buona parte dei partecipanti proviene sempre direttamente dal territorio in cui si svolge il convegno.
Lo scorso anno a Foggia eravamo ospiti della facoltà di Lettere, ed avemmo una partecipazione rilavante di archeologi. Immagino che quest’anno sarà particolarmente nutrita la partecipazione degli enti locali piemontesi.
Ma lo scopo del GfossDay è esattamente questo; essere una vetrina aperta a tutti, in cui si disseminano idee, si parla di software libero, di open data e di informazione geografica libera con tutti coloro che possono essere interessati a queste tematiche a qualsiasi titolo.
Open data, Smart Cities, Software libero, Database Spaziali, Mappe, Mobile …e chi più ne ha, più ne metta! Per partecipare a questa conferenza è necessario avere una laurea in Geografia oppure basta studiare per un mese?
Per lunghi decenni il GIS ha rappresentato una sorta di bolla stagna completamente autoreferenziale: strumenti molto complessi ed altamente specialistici per scopi altrettanto complessi e settoriali.
Oggi la maturazione complessiva delle tecnologie GeoSpatial ha raggiunto un tale livello che possiamo anche iniziare a pensare di metterle a disposizione di una platea molto più ampia che in passato, e per una gamma di applicazioni decisamente più estesa.
Sicuramente il ruolo degli specialisti resta molto importante in alcuni scenari particolari; ma ormai per riuscire a pubblicare un sito Web con contenuti cartografici anche ricchi e sofisticati non serve necessariamente uno specialista, è un compito tranquillamente alla portata di qualsiasi informatico disposto ad allargare il proprio bagaglio di conoscenze e di competenze professionali.
Sicuramente la soglia di ingresso si è notevolmente abbassata; specie per quanto riguarda gli Spatial DBMS ed i servizi Web ormai possiamo tranquillamente affermare che le tecnologie GeoSpatial non hanno proprio nulla di “esoterico” rispetto a qualsiasi altra tecnologia informatica largamente diffusa.
Per quanto riguarda i requisiti di ammissione: temo sinceramente che una laurea in geografia da sola non basti affatto per padroneggiare a fondo la complessità del settore: sicuramente anche le discipline giuridiche e quelle economiche e sociali hanno una rilevanza altrettanto determinante. Naturalmente anche le competenze informatiche “pure” stanno rapidamente diventando indispensabili.
Ma tutto questo non deve affatto scoraggiare. Come in moltissimi alti settori delle nostre società post-industriali sono proprio le competenze professionali specifiche di settore che devono sforzarsi di trovare forme di comunicazione efficaci, semplici, dirette ed universali: non viceversa.
In veste di presidente di GFOSS Italia, come completeresti, ipotizzando un mondo ideale, la seguente equazione: “Google Maps” sta a “mappe per tutti” come “GFOSS e opendata” stanno a …?
… mappe veramente libere per tutti. E per qualsiasi scopo: culturale, sociale, amministrativo, politico e perché mai no, anche economico e produttivo.
Sicuramente mappe aperte alla libera partecipazione e collaborazione di tutti i soggetti interessati. Mappe che sappiano valorizzare al meglio tutte le ricche e variegate specificità sociali, culturali e storiche tipiche di ciascun territorio locale.
Insomma, uno strumento vivo ed aperto, partecipativo e creativo, piuttosto che un “fiore di serra” coltivato artificialmente da pochissime multinazionali che operano su scala globale.
Open source, open data e open government: quali sono a tuo avviso le mutue relazioni tra questi tre paradigmi?
Open Government è un progetto politico di vasto respiro che cerca di costruire una genuina democrazia al passo con i tempi, cercando di sfruttare tutte le potenzialità delle nuove tecnologie per promuovere la partecipazione attiva, informata e consapevole dei cittadini.
Open Data è la modalità operativa che rende materialmente praticabile l’Open Government: perché solo mettendo materialmente tutto il patrimonio di conoscenza in possesso dei Governi a disposizione dei cittadini si può avere partecipazione informata e quindi consapevole.
Open Source è semplicemente una modalità tecnica di sviluppo del software; ma è anche la pietra angolare in grado di garantire che il primo obbiettivo (Open Government) non diventi semplicemente un’arma di manipolazione delle coscienze per fini politici, e che il secondo (Open Data) non finisca semplicemente per diventare un insperato regalo ed una profittevole occasione di business per le grandi multinazionali.
Insomma, una robusta iniezione di Open Source nel sistema rappresenta l’unica garanzia assolutamente trasparente che può assicurare efficacemente ai cittadini che Open Government ed Open Data siano strumenti reali di democrazia attiva, e non solo coperture di facciata che celano scopi completamente diversi da quelli proclamati.
Perché ti occupi di software libero e non di software proprietario?
Perché fin da tempi remoti mi occupo di sviluppo software; per lunghi anni ho vissuto come una grave menomazione personale il fatto che il frutto della mia fatica intellettuale finisse inevitabilmente per diventare proprietà intellettuale di altri grazie al sistema dei copyrights.
Oggi finalmente, da quando ho iniziato a sviluppare software libero, ho la soddisfazione di sapere che il frutto delle mie fatiche appartiene esclusivamente a me stesso; e posso perfino concedermi l’enorme gratificazione di metterlo liberamente a disposizione di qualsiasi essere umano che lo ritenga utile ed interessante.
Oggi si parla tanto di Smart Cities: ritieni che l’apporto utile del software libero possa fare la differenza? Se la risposta è affermativa, in che modo?
Sono personalmente convinto che Smart Cities possa essere un’ottima occasione per migliorare la qualità della vita delle nostre città sempre più complesse, caotiche e congestionate.
Una robusta iniezione di tecnologie avanzate può realmente portare numerose ricadute molto positive: basti solo pensare ai settori della tutela dell’ambiente, di un uso più efficiente e razionale dell’energia, di una mobilità più fluida e più efficace basata sull’uso innovativo di mezzi di trasporto collettivo innovativi.
Ma anche sotto al profilo politico, sociale e culturale Smart Cities può aprire prospettive decisamente interessanti.
Però attenzione: l’intera operazione Smart Cities può essere un’ottima occasione di crescita e di sviluppo collettivo. Ma può anche rischiare di risolversi semplicemente in una novella corsa all’oro per un pugno ristretto di grande aziende fornitrici. E può addirittura evocare i più nefasti scenari di controllo sociale ossessivo in stile Grande Fratello.
La differenza sarà tutta nel livello di coinvolgimento diretto ed attivo dei cittadini nei processi, e nella capacità di far nascere una micro-imprenditorialità diffusa direttamente legata al territorio piuttosto che nel favorire ulteriori processi di concentrazione monopolistica.
Naturalmente solo l’uso massiccio di software libero può offrire tutte le necessarie garanzie di apertura e di assoluta trasparenza, che in questo caso sono particolarmente critiche e delicate per la credibilità dell’operazione.
I contenuti potrebbero non essere più adeguati ai tempi!
By Alberto Venosa on nov 5, 2012
Complimenti per l’articolo. L’intervista è ricca di spunti e argomentazioni da approfondire magari in futuro. Spero, per chi come me non potrà partecipare all’evento, ci sia la possibilità di guardare on-line i video delle varie sezioni. GeoSaluti a Tutti.
By massimo zotti on nov 6, 2012
Avevo commentato brevemente su twitter questo articolo ma rispondo all’invito di postare qui le mie osservazioni.
Facevo innanzitutto i complimenti a Tanto perché quest’intervista, tra le valide domande e le belle risposte di Sandro, offre un’ottima panoramica di quello che è lo scenario geospaziale italiano. (Continuo a sostenere che in voi ragazzi che animate questo blog ci sia una grossa potenzialità che andrebbe finalmente valorizzata. Fate qualcosa!)
Rimproveravo poi a Sandro lo scivolone sulle “verità assolute”. In un paio di passaggi mi sembra che la tesi dell’open source come unica garanzia di trasparenza e democrazia sia sostenuta in maniera aprioristica, mentre andrebbe argomentata meglio. Ad esempio in ambito smartcities io credo più all’interoperabilità basata su standard open che al software libero tout court.
(perdonate la brevità ma scrivo da mobile)
By Sandro Furieri on nov 6, 2012
Concordo assolutamente sull’importanza critica degli standard per l’interoperabilità; sono
decisamente fondamentali, così come è fondamentale l’uso di formati e protocolli aperti (cioè liberi da specifici vincoli proprietari e/o da brevetti).
L’importanza dell’open source per la trasparenza e la democrazia io non la vedo affatto legata a “verità assolute”; la vedo piuttosto legata ad un paio di questioncelle spicciole molto pragmatiche e molto concrete.
Prendiamo p.es. un motore di ricerca come Google; notoriamente in alcuni paesi (poco o nulla democratici) fornisce risposte “addomesticate” gradite all’autorità politica locale.
E non vedo proprio perchè lo stesso identico meccanismo non potrebbe ripetersi tal quale anche nel settore mappe e cartografia, che fin dalla notte dei tempi è un settore che ha ovvie implicazioni militari, politiche ed ideologiche.
Se alla base dei sistemi infomativi ci mettiamo sw open source, chiunque può verificare personalmente il codice: e quindi può toccare con mano (in perfetto stile San Tommaso) se sono state introdotte delle “addomesticazioni ad hoc”, se ci sono filtri selettivi discriminatori a seconda del profilo utente, se sono stati introdotti metodi occulti che violano la privary personale etc
Viceversa, se il codice utilizzato è “chiuso” esiste un’unica opzione possibile: occorre fidarsi ciecamente prendendo a scatola chiusa tutto quel che passa il convento.
Personalmente non mi pare che uno scenario di questo tipo offra alcuna garanzia di trasparenza; è “opaco” per sua stessa definizione.
Nel momento in cui si ipotizza di introdurre massicce dosi di tecnologie informatiche direttamente nel cuore dei processi democratici (vedi Smart Cities), l’assoluta trasparenza non e’ affatto un optional: è uno dei requisiti minimi di base.
By Pietro Blu Giandonato on nov 8, 2012
Sandro, permettimi una considerazione.
Se la tua motivazione riguardo l’assoluta necessità di utilizzare sempre e solo FOSS per fare “open government” è legata al fatto che questo impedisca di default di “addomesticare” le informazioni, io non sono d’accordo.
Un governo o un soggetto pubblico detentore e distributore di dati può renderli più o meno trasparenti, sia che usi soluzioni FOSS che proprietarie, che ancora miste.
Il concetto di open government infatti non è legato in sé alla soluzione tecnologica per realizzarlo, quanto alle politiche di trasparenza vera e propria che il governo o l’istituzione in questione vuole attuare, applicando filtri o restrizioni ad esempio sulle licenze d’uso.
La questione mi ricorda molto una situazione che ho vissuto in prima persona in occasione del GFOSS Day 2011 a Foggia, quando venni bollato come eretico perché asserivo che con la piattaforma Google si potesse fare open government e si potessero distribuire dati in formato open.
A mio avviso lo si può fare eccome, perché alcuni strumenti Google (es. Fusion Tables, ma anche Docs per certi versi) sono liberamente utilizzabili senza restrizioni che vadano a ledere la libertà di chi li utilizza.
Mi si può obiettare (come è stato fatto) che i dati che metto su Google l’azienda si riserva di farne ciò che vuole. E che problema c’è? Se io faccio open government, che per me vuol dire dati aperti e licenza d’uso tipo CC0, che mi importa se Google li prende per fare anche business?
Del resto, molti di noi che lavorano con strumenti FOSS e usano dati open, ci fanno comunque business per poter campare…
By Sandro Furieri on nov 8, 2012
Pietro,
mi pare che tu sollevi due problemi concettualmente differenti.
1) l’open source e’ condizione necessaria e sufficiente per garantire perfetta libertà ?
necessaria sicuramente si, lo è certamente.
sufficiente temo proprio di no, purtroppo non lo è affatto.
ho anche personalmente scritto un post abbastanza articolato al riguardo; chi è interessato lo può leggere qua:
http://de.straba.us/2012/10/30/open-source-e-walled-garden-aka-abbiamo-vinto-la-battaglia-ma-stiamo-perdendo-la-guerra/
l’approccio insidioso dei Walled Gardens rischia di aggirare le garanzie tipiche delle licenze aperte, vanificandole e rendendole inefficaci.
evidentemente dobbiamo iniziare a pensare a qualche approccio innovativo e più avanzato, che tuteli altrettanto fortemente anche le policies dei servizi web.
ma su questo a Torino non mancherà certo l’occasione per approfondire e per discutere, visto che il programma del GfossDay prevede una tavola rotonda nella mattinata di mercoledi 14 interamente dedicata a queste tematiche.
2) Google (ed altri)
qua evidentemente il problema non è affatto se un’azienda offre servizi, e riesce a ricavarne un reddito.
ben venga: mi pare operazione non solo lecita, ma addirittura encomiabile. nessuno ha mai sostenuto che sw libero = gratis (anzi, la teoria afferma esattamente l’opposto; questa è semplicemente una misconception, per quanto ampiamente diffusa)
dove sono allora i problemi reali ?
- che comunque i servizi devono essere trasparenti, non discriminatori e rispettosi della privacy degli utenti.
- che non è affatto ammissibile che un unico soggetto (o pochi soggetti) riescano a costruirsi una posizione dominante monopolistica.
fortunatamente questo non è un argomento che interessa solo chi si occupa di sw libero.
è uno dei caposaldi su cui da almeno due secoli si fondano saldamente tutti i sistemi economici e politici occidentali.
la libera concorrenza è il pilastro fondamentale del libero mercato: le distorsioni monopolistiche non sono ammissibili e vanno necessariamente contrastate.
non a caso, nei decenni passati le autorità anti-trust USA ed UE sono intevenute più volte per contrastare le concentazioni monopolistiche nel mercato informatico.
oggi basta scorrere velocemente qualche rassegna stampa per scoprire che l’attenzione AntiTrust si sta ora velocemente focalizzando sui nuovi soggetti incombenti che stanno dominando il settore web services.
evidentemente, il problema esiste, e sta rapidamente emergendo all’attenzione dei Governi.
By Pietro Blu Giandonato on nov 8, 2012
Sandro, il pericolo dei walled garden sta essenzialmente nell’uso che se ne fa, o meglio nella consapevolezza da parte degli utenti dei limiti dei quali parli nel tuo articolo.
Facebook e Google hanno il medesimo obiettivo: fare business *sui* propri utenti, ma anche *per* i propri utenti.
Io che uso ampiamente i servizi Google sono perfettamente consapevole dei punti di debolezza che ha, sia in termini di sicurezza che di proprietà dei dati e delle informazioni che decido di affidargli.
A mio avviso è proprio il grado di consapevolezza dei termini di utilizzo che abbiamo di questi sistemi il reale problema, non tanto il fatto che esistano e vadano combattuti come il demonio.
È dunque, a mio avviso, una questione di libero arbitrio.